Importante differenza funzionale tra uomo e topo nella corteccia entorinale

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 22 aprile 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La corteccia entorinale è la struttura più importante sulla via che porta informazioni spaziali dalla neocorteccia all’ippocampo, eppure fino al 2004 si è ritenuto che la presenza di “campi spaziali” fosse una prerogativa esclusiva della formazione del lobo temporale mediale che ricorda un cavalluccio marino. Infatti, quando Fynn e collaboratori registrarono per la prima volta forti campi spaziali nei neuroni del fascio dorso-laterale della corteccia entorinale, inizialmente si ipotizzò che l’informazione fosse veicolata a ritroso dall’ippocampo[1]. Ma gli esperimenti rivelarono che le proprietà spaziali delle cellule nervose entorinali si manifestavano anche in assenza della funzione ippocampale[2]. Proprio da quel momento, con gli studi dei coniugi Moser e della loro scuola, la visione dell’organizzazione funzionale del rapporto dell’individuo con lo spazio circostante è radicalmente mutata. Alle cellule di luogo dell’ippocampo, che si conoscevano dal 1971 grazie a John O’Keefe e John Dostrovsky[3], si aggiungevano dei neuroni disposti a griglia nella corteccia entorinale, in grado di rappresentare lo spazio in un modo del tutto diverso.

Le cellule dell’ippocampo rappresentano specifici luoghi in rapporto con la posizione dell’individuo, mentre la griglia entorinale realizza un sistema di coordinate spaziali che mappano l’ambiente circostante. I due sistemi formano un circuito che, come è stato sottolineato da oltre un decennio dalla nostra scuola neuroscientifica, non deve identificarsi esclusivamente con un apparato per l’orientamento nello spazio, perché i neuroni che lo compongono svolgono altre importanti funzioni[4]. Le disfunzioni di questo circuito causano problemi di memoria e di disorientamento cognitivo, con manifestazioni cliniche che coincidono con alcuni dei sintomi iniziali della malattia di Alzheimer. Ad esempio, una parte dei pazienti, oltre a presentare amnesia e disnomia, manifesta un marcato disorientamento visuospaziale, in passato quasi esclusivamente riportato ad atrofia corticale posteriore, ma spesso dovuto a deficit di orientamento del proprio schema corporeo nello spazio, che si manifesta con difficoltà nel dirigersi in ambienti familiari, nel distinguere la destra dalla sinistra, nel parcheggiare un auto, nell’apparecchiare la tavola o nel vestirsi.

Il proposito di accertare sperimentalmente i rapporti fra le alterazioni di questo circuito neuronico e la sintomatologia delle demenze degenerative richiede una conoscenza di questi sistemi neuronici molto più approfondita di quella attuale. In effetti, la massima parte di ciò che si conosce è stata dedotta da studi su roditori. Zoltan Nadasdy e colleghi hanno studiato pazienti che, in quanto affetti da forme intrattabili di epilessia, sono stati sottoposti ad impianto di elettrodi nella corteccia entorinale a scopo terapeutico. Sfruttando la possibilità di rilevazione dell’attività elettrica di questa regione, col consenso dei pazienti, sono stati allestiti degli esperimenti in grado di fornire nuovi elementi sulla funzione di queste cellule nell’uomo, che si è rivelata differente da quella dei neuroni entorinali murini.

(Nadasdy Z., et al. Context-dependent spatially periodic activity in the human entorhinal cortex. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.1701352114, 2017).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neurology, Department of Psychiatry, Department of Surgery, Dell Medical School, The University of Texas at Austin, Austin, Texas (USA); Department of Cognitive Psychology, Eötvös Lorand University, Budapest (Ungheria); Systems and Control Laboratory, Institute for Computer Science and Control, Hungarian Academy of Sciences, Budapest (Ungheria); Brain Imaging Centre, Research Centre for Natural Sciences, Hungarian Academy of Sciences, Budapest (Ungheria); School of Medicine, Baylor College of Medicine, Houston, Texas (USA).

Come già fatto in un’altra recensione recente a scopo introduttivo, si riporta un ampio stralcio di una nota nella quale si ripercorrono in sintesi alcuni aspetti salienti della ricerca in questo campo:

“L’intuizione dell’esistenza nel cervello di una mappa cognitiva dell’ambiente da parte di Edward Tolman è citata da Siegelbaum, Kandel e vari altri autori, quale primo antecedente documentato dell’ipotesi di lavoro che portò nel 1971 John O’Keefe e John Dostrovsky a scoprire nell’ippocampo di ratto una speciale mappa cognitiva dello spazio vissuto dall’animale. Non deve meravigliare, però, che fra i ricercatori l’idea di una rappresentazione cerebrale dinamica dell’ambiente circolava da tempo. L’osservazione della rapidità e dell’efficienza dei movimenti dei roditori anche in ambienti nuovi e le prestazioni di memoria spaziale di uccelli e mammiferi in grado di ricordare l’esatta localizzazione di nascondigli di cibo o di altri contrassegni ambientali, avevano da tempo suggerito la possibilità dell’esistenza di sistemi neuronici specializzati. Grazie al lavoro di John O’Keefe, oggi possiamo dire che la familiarità di un animale con un particolare ambiente è rappresentata nell’ippocampo da uno speciale schema di attività nelle regioni CA3 e CA1 di una popolazione di neuroni piramidali detti cellule di luogo o place cells. Ciascuna di queste cellule si attiva quando un animale entra nella zona di spazio corrispondente all’area di competenza della cellula, il campo di luogo o place field. Quando un animale entra in un nuovo ambiente, nel giro di pochi minuti si formano nel suo ippocampo nuovi campi di luogo, che rimangono stabili per settimane o mesi. Per queste proprietà, se si registra l’attività elettrica di un numero adeguato di place cells, è possibile ricavarne l’informazione relativa a dove si trovi esattamente l’animale in quel momento. In tal modo si ritiene che l’ippocampo costituisca una mappa dinamica dello spazio circostante. La dimostrazione da parte di O’Keefe della funzione delle cellule di luogo ha fornito la prima evidenza di una rappresentazione cerebrale dell’ambiente che consente all’animale un’agevole ed efficace traduzione delle intenzioni locomotorie in atti appropriati alle caratteristiche dello spazio. Questa mappa cognitiva non è organizzata secondo un criterio anatomico topografico o egocentrico, come la somatotopica del tatto sulla superficie della corteccia cerebrale, ma è una rappresentazione che si può definire allocentrica, essendo fissata ogni volta rispetto ad un punto del mondo esterno. In altri termini, è una rappresentazione dello spazio-ambiente relativa al punto in cui si trova l’animale.

La mappa cognitiva ippocampale dello spazio rappresentata nelle cellule di luogo, nei trent’anni seguenti, ha ottenuto numerose conferme sperimentali ma, sebbene la sua esistenza fosse diventata una nozione consolidata nella didattica, rimaneva un mistero come facesse questa popolazione cellulare a conoscere le informazioni spaziali necessarie alla sua funzione. In altri termini, non si riusciva a capire in che modo la mappa si costituisse, quale tipo di informazioni spaziali e in quale modo giungessero a queste regioni dell’ippocampo.

Nonostante l’impegno di molti ricercatori, si continuò a brancolare nel buio fino al 2005, quando Edvard I. Moser, May-Britt Moser e colleghi accesero una luce straordinaria con la scoperta di un nuovo sistema cellulare organizzato come una griglia che mappa lo spazio nella corteccia entorinale mediale secondo un criterio del tutto diverso[5]. I neuroni scoperti dai coniugi Moser, detti cellule griglia o grid cells, compongono con i loro assoni la via perforante diretta all’ippocampo, e, a differenza delle cellule di luogo ippocampali che si attivano solo quando l’animale è in una singola e specifica localizzazione, scaricano ogniqualvolta l’animale è in una di varie posizioni regolarmente spaziate a formare una griglia o grata a maglie esagonali. Questa grata consente al cervello di localizzare il corpo cui appartiene all’interno di un sistema di coordinate cartesiane proiettate sul suolo dell’ambiente circostante, ma indipendenti dal contesto, da elementi distintivi di un territorio o contrassegni caratterizzanti un luogo[6].

Le informazioni spaziali codificate dalle grid cells, secondo il criterio della griglia nella corteccia entorinale mediale, sono poi convogliate all’ippocampo dove sono elaborate nella chiave di singole rappresentazioni spaziali corrispondenti all’attivazione delle cellule di luogo.

Ogni dato ambiente, per gli animali studiati e presumibilmente per la nostra specie, trova corrispondenza in una particolare configurazione di attività della specifica popolazione di cellule ippocampali, ossia è rappresentato in un firing pattern che, una volta costituito, è stabilmente conservato. Come? Questo problema di memoria ha impegnato a lungo i ricercatori: poiché le cellule di luogo o place cells non sono altro che i neuroni piramidali sui quali da decenni si studia il potenziamento di lungo termine (LTP), la principale base cellulare della memoria che si conosca, si è ipotizzato un ruolo dell’LTP nella conservazione della memoria della configurazione di attività corrispondente all’ambiente.

La verifica di tale ipotesi ha richiesto esperimenti con topi mancanti della subunità NR1 del recettore NMDA, necessaria per il potenziamento di lungo temine dell’attività sinaptica dei neuroni piramidali. Gli esperimenti, sorprendendo i ricercatori, hanno mostrato che i neuroni piramidali ippocampali, nonostante il blocco dell’LTP, ancora si attivano secondo campi di luogo. In questi topi mutanti, però, i campi di luogo risultano più espansi e meno precisamente delimitati nella sagoma dei loro confini rispetto a quelli dei topi normali. In un’altra serie di esperimenti con topi mutanti si è cercato di verificare l’importanza della fase terminale del potenziamento e della memoria spaziale a lungo termine. In tali ceppi murini l’espressione di un transgene che codifica una proteina inibitrice della proteinchinasi A, selettivamente elimina lo sviluppo della fase tardiva dell’LTP e della memoria dello spazio di lunga durata. Anche in questo caso i campi di luogo si formavano ancora, ma le configurazioni di attività (firing patterns) delle singole cellule di luogo duravano all’incirca un’ora e poi andavano perdute.

Su questa base si è dedotto che l’LTP tardivo non è richiesto per la formazione dei campi di luogo, ma è indispensabile per la loro stabilizzazione a lungo termine.

Un filone più recente e affascinante di indagini è quello che, con numerosi lavori, ha affrontato il problema dei rapporti fra la struttura funzionale delle mappe spaziali ippocampali e le basi neurali della memoria esplicita o dichiarativa tipica della nostra specie.

Nell’uomo, la memoria esplicita può essere definita come la rievocazione cosciente di fatti relativi a persone, luoghi ed oggetti. Nei topi non è possibile studiare la coscienza (coscienza di ordine superiore, secondo Edelman), pertanto si è eletta come equivalente l’attenzione selettiva, funzione indagabile nel topo ed attiva nell’uomo durante la rievocazione cosciente. Gli esperimenti condotti secondo questa impostazione hanno dimostrato che la memoria a lungo termine di un campo di luogo stabilmente conservato nell’ippocampo non è una memoria implicita costituita e usata automaticamente, ma richiede l’intervento di processi di specifica attenzione all’ambiente, che possiamo ritenere equivalenti della nostra rievocazione cosciente.”[7]

Torniamo all’argomento dello studio qui recensito.

L’attività periodica delle cellule griglia (grid cells) nella corteccia entorinale dei roditori, dei primati e dell’uomo, costituisce un sistema coordinato che, insieme con l’ippocampo, informa un individuo sulla sua localizzazione nell’ambiente e codifica la memoria di tale localizzazione. Fra i tratti più caratterizzanti delle cellule disposte a griglia nella corteccia entorinale, vi sono la simmetria di rotazione di 60° delle griglie e la conservazione della scala della griglia da un ambiente all’altro. Le cellule di questo sistema, tuttavia, secondo quanto emerso dalla ricerca condotta su roditori, presentano un grado limitato di adattamento all’ambiente. Non è però chiaro se questo livello di invarianza ambientale si possa generalizzare ai neuroni umani disposti a formare lo stesso tipo di griglia; soprattutto in considerazione del fatto che nella realtà umana il contributo dell’input visivo all’insieme dell’informazione sensoriale multimodale diretta alla corteccia entorinale è di entità notevolmente più elevata.

Zoltan Nadasdy e colleghi hanno realizzato sessioni sperimentali con pazienti muniti di impianto terapeutico di elettrodi nella corteccia entorinale ed incaricati di compiere compiti di percorrenza (navigation) virtuale verso localizzazioni memorizzate, per indagare le associazioni fra ambiente e grid-like patterns.

L’aspetto più saliente dei risultati è che l’attività dei neuroni corticali entorinali umani presenta un adattamento in scala nel periodo della griglia, nell’orientamento della griglia e nella simmetria di rotazione, in stretta associazione con i cambiamenti nelle dimensioni dell’ambiente, nella sua forma e negli stimoli visivi, suggerendo invarianza di scala della frequenza, piuttosto che della lunghezza d’onda, dell’attività periodica spaziale.

L’insieme dei risultati dimostra in maniera inequivocabile che i neuroni della corteccia entorinale umana, rispetto a quelli murini, rappresentano lo spazio con una flessibilità notevolmente maggiore, in quanto dotati di adattamento scalare e dipendenza dal contesto.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

Giovanni Rossi

BM&L-22 aprile 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Fynn e coll. Spatial representation in the entorhinal cortex. Science 305, 1258-1264, 2004, cit. in Note e Notizie 00-01-05 La corteccia entorinale calcola dati spaziali.

[2] Note e Notizie 00-01-05 La corteccia entorinale calcola dati spaziali.

[3] Cfr. Note e Notizie 03-12-16 Navigazione di pazienti ippocampali e ruolo di una connessione entorinale.

[4] Questa caratteristica, la cui discussione esulerebbe dai limiti della presente nota, rimanda alla necessità dell’adozione di nuovi paradigmi che consentano di evitare il rischio di identificazione 1:1 tra un sostrato neurale ben identificato morfologicamente ed un ruolo funzionale di particolare importanza o di recente scoperta.

[5] V. Note e Notizie 24-06-06 Neuroni entorinali aiutano ad esplorare l’ambiente; Note e Notizie 06-10-07 Griglia esagonale e ippocampo (riporta in calce l’indicazione bibliografica per esteso dei due lavori che hanno comunicato la scoperta da parte dei Moser, oltre al riferimento al volume classico di introduzione all’argomento). Numerose altre recensioni si trovano scorrendo l’elenco delle “NOTE E NOTIZIE” (dall’11-03-2003 al 10-07-2010 sono rubricate come “ARCHIVIO NOTE E NOTIZIE” cui si accede dal fondo della pagina “NOTE E NOTIZIE”).

[6] Gli studi sulle grid cells sono proseguiti ed è stato dimostrato che la loro attività richiede il segnale neuroni che indicano la posizione della testa dell’animale, o cellule HD (head direction cells). In proposito si raccomanda la lettura della recensione della professoressa Richmond: Note e Notizie 14-02-15 Le cellule griglia hanno bisogno del segnale delle cellule HD.

[7] Note e Notizie 28-11-15 Una lezione dai coniugi Moser insigniti del Nobel nel 2014.